intervista raccolta da Sergio Russo

Scoprire che Giovanni Guadagnoli scrive è stata una sorpresa. Gare internazionali d’arte, esposizioni collettive, gallerie ci avevano già fatto conoscere il suo discorso artistico. Incontrarlo nell’arte in righe ci ha perciò sorpresi e incuriositi. La prima domanda pertanto non può essere che:
Perché aggiungere la scrittura al tuo percorso artistico?
“L’arte è un pensiero espresso in altri termini. In forma, colori, che prescinde dalle parole, il linguaggio verbale. E’ un qualcosa che cresce indipendentemente da me. E mi sorprende. Nello scrivere, invece c’è una forma di relazione lenta con il mio vissuto con la mia essenza più profonda, che mi consente di essere nello stesso tempo soggetto ed oggetto. Scrivendo vedo quello che c’è dentro di me e come si è strutturato dentro di me”.
Scrivi per uno stato d’animo in difficoltà o ogni emozione può ispirarti?
“Credo che chi scrive scriva per un’intima necessità: quella di dare una struttura organica, comprensibile all’universo caotico di sensazioni, emozioni che ha vissuto e che lo condizionano .Scrivere è comunque una liberazione da un demone che agita la tua dimensione più intima e che pretende un nome, la riconoscibilità di un nome. E questo è possibile solo se si da un ordine al caos”.
Quanto conta per te essere letto?
“Scrivo per essere letto da me stesso. Perché quando mi leggo entro in una relazione dialettica autentica e rivelante con me stesso. E questo permette un livello di autenticità di rapporto con se stessi che è raro nella vita. La scrittura è un confessore severo che pretende autenticità”
Mentre scrivi ti astrai completamente oppure il pensiero del futuro lettore ti segue e condiziona?
“Cerco di non perdere di vista l’oggetto che fa da scaturigine alla mia necessità di scrivere, quel qualcosa che io non conosco, che non so ancora cos’è ma che so che esiste dentro di me e che richiede di essere oggettivato. E questo non è certo un futuro ipotetico lettore”.
Quanto metti di te nei tuoi scritti?
“E’ ovvio che non vado a raccontare me, ma me che osservo la mia capacità di comprensione del mio mondo”.
Quando per te uno scritto diventa letteratura?
“Quando la scrittura diventa attitudine esistenziale e non passeggera contingenza, perché solo così chi scrive (se assistito da un particolare genio poetico) può transitare dal particolare a quell’universale che può giustificare anche un ipotetico lettore”.
Hai un riferimento letterario o uno scrittore in particolare a cui ti ispiri?
“Non ho un riferimento letterario, perché nel mio caso sarebbe presuntuoso. Ho i miei libri e scrittori preferiti che leggo con particolare coinvolgimento e in cui mi ritrovo molto, tipo per esempio Pessoa, Proust, Buzzati”
La tecnica conta o mentre componi preferisci ignorarla?
“Sarebbe necessaria un buona tecnica narrativa, ma la mia è alquanto stramba. Credo che per scrivere un romanzo ci sia bisogno o di una grandissima ispirazione che sfiora il genio o di una tecnica raffinata. Nel primo caso si è grandi scrittori nel secondo dei bravi professionisti della scrittura”.
Correggi i tuoi scritti?
“Sì, di continuo. Sono sempre un compromesso, non esiste una versione definitiva”.