Lo so. Dovrei occuparmi di altre cose, oggi. Dovrei riferire di Piperno e della sua vittoria di misura al premio Strega. E chissà che un giorno non lo faccia, magari dopo aver dato un’occhiata agli Inseparabili, sebbene io conservi un naturale scetticismo verso questo genere di cose: cosa vinsero mai Alighieri e Manzoni?
Mi va invece di scrivere di John Cheever (1912-1982) e delle sue Cronache della famiglia Wapshot (1957).
La lettura scorre fluida, in metro come la sera nel letto prima di dormire.
Dio come ci sono arrivato a Cheever?
Ah ecco: avevo trascritto il suo nome tra i molteplici di quelli indicati da Raymond Carver nel Mestiere di scrivere.
Il Divino lo cita tra quegli scrittori che hanno qualcosa di più del talento. Di quelli che hanno “un modo di vedere le cose originale e preciso e l’abilità di trovare il contesto giusto per esprimerlo”.
Il cerchio poi si chiude con Feltrinelli, che proprio in questi mesi per la Economica sta ripubblicando le sue opere principali.

E devo ammettere: Cheever mi prende. La sua prosa giocosa può descrivere di tutto, ma lo fa in una maniera talmente leggera da far sentire la vita stessa leggera.
Mi seduce quella tecnica del meta-racconto che già avevo trovato nell’Opera galleggiante di John Barth (1956): a proposito, non trovo più quel libro. Deve essere andato perduto nella ristrutturazione del 2006. Quante cose che ho smarrito nella vecchia casa!

Citerò due esempi: non faccio molta fatica, basta restare al capitolo 11 che sto leggendo in queste ore.
1) uno dei protagonisti, Leander, ha una discussione con la vecchia zia Honora. Poi Cheever conclude: “Fu Leander a dover cedere”. E aggiunge: “Come poteva un uomo avere la meglio in una faccenda del genere?”
2) qualche pagina più avanti, sempre Leander si rirova a pensare: “l’unica cosa di cui aveva davvero bisogno erano i soldi”. E Cheever aggiunge: “Povero Leander! Non possiamo di certo attribuirgli saggezza e inventiva o dargli l’apertura mentale di un primo ministro”.

Credo che sia una tecnica davvero seducente, che lascia trasparire non solo quello che l’autore percepisce e la sua voglia di raccontare, ma anche una certa cura nei confronti del lettore. Come se il lettore non fosse qualcosa di altro.
Chissà forse un tempo, quando non c’erano tanti libri e tanti ebook come oggi, e le storie si tramandavano per via orale, forse allora così usava.
In ogni caso, mi sento meno lettore, meno utente, meno cliente e più partecipe del racconto.
Bravo Cheever!
(6 luglio 2012)