Ma noi tanto poveri poi non eravamo perché, a sette anni, invece di metterci a lavorare come le bambine povere, ci mandarono a scuola, non proprio a scuola dalle suore come le signorine, ma a casa di una maestra che era una via di mezzo.
A scuola Gemma era brava, prendeva sempre dieci, io no, ma lei mi faceva copiare e così mi arrangiavo anch’io. Con le altre compagne invece era terribile, non aiutava nessuno, era sempre pronta a fare dispetti, le poche volte che era punita era sempre perché non era stata abbastanza svelta e si era fatta scoprire. La maestra le voleva bene perché era la più brava, mandava sempre lei a prendere l’inchiostro che stava in una vecchia caffettiera e si doveva versare piano piano nei calamai…che incubo per me quelle penne con il pennino e quell’inchiostro nero che faceva macchie da tutte le parti e mia madre mi sgridava peggio della maestra!”
La vecchia rimase in silenzio guardando con occhi azzurri e liquidi cose lontane che solo lei poteva ancora vedere.
“Allora la maestra ci sembrava cattiva – riprese dopo un poco – ma forse era solo giusta, noi sapevamo che se facevamo bene ci premiava e se sbagliavamo ci puniva, tutte senza eccezioni.
Era bello quando, con le chiavi appese alla cintura, apriva con calma uno stipo alle sue spalle e da una scatola di latta colorata prendeva un biscottino e lo dava a chi aveva avuto un bel voto o aveva fatto qualche buona azione, se invece dovevi essere punita con la stessa calma prendeva una bacchetta poggiata su quello stesso stipo e tu sapevi che dovevi tendere il palmo della mano, una volta una mia compagna tese la mano un poco chiusa per la paura e lei con un gesto che sembrava una carezza la aprì per bene e poi la colpì con forza. Quella a pensarci bene mi sembrò una ingiustizia, Rosa era tanto piccola, forse un poco scema anche, io a volte volevo aiutarla ma Gemma non voleva, diceva che dovevamo essere amiche solo noi due.
Io facevo sempre quello che diceva lei, anche se avevamo la stessa età, la consideravo più grande e poi lei aveva una fantasia sfrenata, inventava dei giochi bellissimi. In estate, nella controra quando tutti dormivano, ci nascondevamo a giocare nel giardino della Baronessa, come era tutto caldo e pieno di sole allora! Veramente ci era proibito andare in giardino, allora era molto più grande, arrivava fino al muro delle suore ed era bellissimo, pieno di fiori, mi ricordo soprattutto le rose… nei giorni di festa la Baronessa, con dei guanti a rete, scendeva in giardino a cogliere i fiori per la cappella e ci permetteva di seguirla e ci indicava le cose senza sapere che noi quel giardino lo conoscevamo meglio di lei, ogni angolo, ogni pietra, ogni albero sapevamo, ma quello che ci piaceva di più era la parte più lontana, l’angolo sotto il muro delle monache dove c’era il pollaio e l’albero di fichi che in estate aveva un odore che ancora mi ricordo, sotto crescevano erbe selvatiche che noi strappavamo per i nostri giochi, il negozio, le streghe.. solo uno non mi piaceva, l’aveva inventato Gemma, eravamo due signore che si incontravano, lei con dei bellissimi fiori ed io con dei fiorellini striminziti ed ammosciati e poi risultava che lei li aveva pure pagati molto meno di me, lo odiavo questo gioco e lei lo sapeva e me lo imponeva solo raramente. Gemma era fatta così! Anche dopo, quando finimmo la scuola e ci misero come apprendiste da una sarta… allora c’erano molte sarte, era un buon lavoro per una donna perché si guadagnava bene e non si usciva di casa. Anche lì lei mi aiutava e poi ogni tanto mi costringeva a fare un lavoro noioso al posto suo, ma solo raramente. Ma non vi fate una idea sbagliata, eravamo veramente amiche e ci volevamo bene. Una volta, quando ancora uscivo, ci sono salita a casa della sarta, ora ci abita un professore ed io avevo accompagnato una mia nipote che cercava lavoro. Che emozione quando ho rivisto quella stanza, lo stesso pavimento, lo stesso sole…mi sembrava di dover vedere noi ragazze chine sul cucito a parlottare tra di noi. Ma Gemma non si accontentava, era diventata molto brava e cominciava ad avere qualche lavoretto da sola così decise che dovevamo prenderci la quinta elementare e dopo il titolo di sarta finita e aprirci un nostro laboratorio, io non volevo perché pensavo di non farcela e dicevo ma tanto a che ci serve se poi ci sposiamo e i nostri mariti non ci fanno lavorare. Ma lei quando si metteva una cosa in testa non la fermava nessuno e così feci come voleva lei… e bene feci perché quel pezzo di carta a me è servito, ho mantenuto cinque figli e anche qualche nipote! Invece il laboratorio non lo aprimmo perché intanto si cominciava a parlare di guerra, gli uomini partivano, la Baronessa se ne andò nella villa di campagna e mia madre allora ci portò al suo paese e restammo lì fino al ’49 e quando tornammo era tutto cambiato e Gemma non c’era più. Provai a chiedere di lei ma nessuno ne voleva parlare, veramente nessuno voleva parlare di niente, tutti volevano cancellare quegli ultimi anni. Vi ricordate Napoli Milionaria? Era veramente così, la gente si era incattivita e non voleva ricordare. Mi colpì questa cosa, certo anche il vicolo era cambiato, c’erano ancora palazzi crollati…e questo palazzo poi non è mai più tornato come prima. I Baroni non sono mai tornati e poco alla volta hanno venduto tutto, perfino nel giardino hanno costruito… prima non c’era quel palazzone, dalla corte si vedeva tutto il panorama e la cappella è stata sconsacrata… qualche anno fa, ti ricordi Maria? si scrostò l’intonaco per l’umidità e riapparvero gli angeli, io li volli venire a vedere, che ricordi! la Baronessa la faceva riempire di fiori per le feste e ora ci dorme mia figlia con la famiglia…scusate volevo dire che le persone erano cambiate ancora di più ed io non le capivo. Vedete io la guerra l’ho passata in paese, sì mi ricordo che i grandi erano preoccupati, mi ricordo il freddo e la fame, anche un po’ la paura quando si sparse la voce che arrivavano i tedeschi a prendersi gli uomini e scappammo in montagna per qualche giorno, ma noi giovani trovavamo sempre qualche motivo per essere allegri e poi per me che venivo dalla città era tutto nuovo, gli uomini si ammazzavano fra di loro ma la campagna continuava a vivere come sempre: i fiori in primavera, i frutti in estate, le foglie secche in autunno, la neve in inverno, e anche noi esseri umani eravamo rimasti più uguali, io poi in quegli anni mi sono sposata, proprio sulla montagna conobbi mio marito che era tornato dalla guerra e si nascondeva, ma era coraggioso e scendeva in paese per portarci qualcosa da mangiare e vedere la situazione, poi mi ricordo che un giorno non tornava e noi eravamo così preoccupati, invece quasi di sera tornò e ci disse che i tedeschi ormai erano molto più a nord e potevamo scendere. Ma intanto ci eravamo fidanzati e poco dopo ci sposammo e nacque mio figlio…come era bello… vedete certe volte le mie figlie mi strillano, dicono che devo distrarmi, mi accendono la televisione e io dico lasciatemi stare mi fanno compagnia i miei ricordi e poi, come diceva una mia zia, ormai conosco più persone di là che di qua. E ora anche Gemma se ne è andata! Scusate stavo dicendo che in città invece deve essere stato terribile se la gente era cambiata così…Gemma era cambiata più di tutti o forse era sempre stata così la mia Gemma, la mia compagna, poco alla volta, una parola qua, una là venni a sapere tutta la storia…insomma ora ve lo dico, il padre aveva un negozietto al mercato e così loro durante la guerra tenevano ancora qualcosa e allora Gemma si era messa a fare la borsa nera e a prestare soldi, voglio dire proprio a fare la strozzina, che Dio la perdoni, dicevano che era una sanguisuga, non aveva pietà per nessuno, tutto si prendeva gioielli, argenteria, perfino le case. Ma poi successe la tragedia, la guerra era finita, lei si era sposata con un bravo giovane e aveva un figlio, aveva avuto pure un posto al comune. Tutti la odiavano ma lei era sicura e piena di superbia quando Dio la punì, le tolse tutti e due insieme il marito ed il figlio, un incidente, saltarono su una bomba inesplosa e morirono, lei rimase sola con la madre e poco dopo vendettero tutto e se ne andarono. La gente qui la dimenticò presto, quelli che l’avevano conosciuta a poco a poco sono morti così quando qualche anno fa venne ad abitare nel vicolo nessuno la riconobbe, io poi già non uscivo più e non l’avevo mai vista ma qualche mese fa improvvisamente una sera mi venne a fare visita, come fu bello, ci ricordammo tutte le cose della nostra giovinezza poi lei cominciò a chiedere della gente del quartiere, voleva sapere che fine avevano fatto, dove se ne erano andati, se c’erano degli orfani, mi sembrò quasi che cercasse qualcuno in particolare ma non lo voleva dire, poi mi salutò dicendo che sarebbe tornata e invece non è più venuta… ah! una cosa: ad un certo punto si aprì il cappotto dicendo che aveva caldo e sulla maglia teneva appuntata una spilla grande, a forma di farfalla, con tutte pietre colorate, fu una cosa strana, come se si aspettasse che io dicessi qualcosa…non so, io comunque quella spilla non l’avevo mai vista e feci finta di non notarla. E questo è tutto quello che so.”
Quando uscirono nel vicolo ormai era scuro, dissero qualcosa svogliatamente:
“Ora sappiamo cosa c’era nell’astuccio vuoto”
“Domani dobbiamo fare un’indagine patrimoniale.”
“Si, domani”
E poi si salutarono rapidamente. La Minardi corse a prendere i figli dalla madre, Sirica si fermò a salutare il cugino e il commissario si incamminò da solo verso casa.
(4.continua)