“Ci sono delle cose di questa città che non capirò mai!” commentò il commissario.
Intanto Sirica già tornava con don Gaetano che andava dicendo:
“Ma che volete da me, quello che sapevo ve l’ho già detto! Scusate commissario, ma sto lavorando, è l’ora di punta per me,
mi fate restare indietro con le consegne!”
“Scusate voi, don Gaetano – intervenne la Minardi – volevamo solo sapere se ci sono nella via persone anziane che si ricordano fatti antichi, famiglie che abitavano qui nel passato…”
“ Ma sì- disse contento il salumiere- potete parlare con donna Carmela, lei ha quasi cento anni ed è sempre vissuta qui.”
“ Perfetto!- disse il commissario – ci può indicare la casa della signora?”
Si incamminarono tutti dietro don Gaetano su per il vicolo fino ad un palazzo un tempo forse principesco, c’era ancora un grandioso portale di piperno e, oltre la volta ancora ornata da uno stemma, si apriva un vasto cortile aperto, di fronte, su un giardino mentre, sugli altri lati, quelle che un tempo erano magazzini, rimesse per carrozze e una cappella, erano state trasformate in abitazioni.
“ Forse siamo un po’ troppi – disse il commissario – chi vuole aspettare fuori?”
Sirica fece finta di non sentire e si avviò avanti con il cugino, Ester Minardi si offrì sapendo benissimo quello che avrebbe detto il suo capo:
“No. Lei deve venire, certo la signora Carmela sarà più a suo agio se c’è un’ altra donna.”
Landolfi allora disse: “Posso andarmene io? Devo ancora finire un rapporto, così può essere che torno a casa in orario.”
Salutarono l’agente e, superata una veranda piena di piante, bussarono ai vetri del basso.
Il timori del commissario si rivelarono inutili: la signora Carmela sedeva impettita come una regina, circondata da donne di varia età che, come ancelle, la servivano: una le porgeva uno specchio, una le spazzolava la vestaglia, una puliva il pavimento ed una infine riponendo i suoi attrezzi da parrucchiera, diceva:
“Allora, nonna, siete rimasta contenta?”
“Sei diventata proprio brava, Alessia, mi hai tolto almeno ventanni! Grazie. Maria, prendimi il borsellino, tua figlia si merita un bel regalo!”
“Ma nonna, che c’entra lo sapete che per voi…”
Finalmente le donne si accorsero dei visitatori e, riconoscendo don Gaetano, subito aprirono.
Poco dopo, mentre Maria preparava il caffè, i poliziotti ascoltavano la signora Carmela che, le mani chiuse l’una nell’altra poggiate sul tavolo, parlava sottovoce:
“Povera Gemma, che brutta fine! che cose brutte succedono oggi! Ai miei tempi si aveva più rispetto per i vecchi. Ora non si capisce più niente…”
“Mamma, i poliziotti vogliono sapere della signora Palumbo, non cominciare con le tue lamentele!”
“Ma che debbo dire, magari mi confondo, sono cose vecchie!”
“Signora, – intervenne con garbo la Minardi – finora non siamo riusciti a sapere nulla della vittima. Forse voi ci potete aiutare. Non vi preoccupate, raccontateci quello che vi torna in mente, siamo sicuri che ci sarà molto utile.”
“ Allora…tanto per cominciare…un po’ di tempo fa una sera Gemma è venuta improvvisamente a farmi una visita dopo tanti anni che non ci vedevamo, anche se abitavamo vicino, ma che volete ormai eravamo due vecchie che non escono più di casa. Ma siamo state giovani un tempo, anzi bambine, siamo praticamente vissute insieme perché avevamo la stessa età e anche lei abitava in questo palazzo… non era così allora c’erano ancora i Baroni nei piani alti e solo le nostre due famiglie abitavano nel cortile. Loro non so com’è che ci stavano, noi abitavamo qui perché mia madre stava a servizio dai Baroni e quando si sposò la Baronessa le dette questo locale dove prima c’era la carrozza. Ai miei tempi già non si usavano più, ma mia madre se le ricordava, mi raccontava il subbuglio che c’era quando i padroni ordinava la carrozza, tutti dovevano correre… mia madre che fin da piccola stava a servizio ci raccontava un sacco di cose dei tempi antichi e Gemma faceva sempre un sacco di domande, voleva sapere tutto di come vivevano i ricchi.
Ma noi tanto poveri poi non eravamo perché, a sette anni, invece di metterci a lavorare come le bambine povere, ci mandarono a scuola, non proprio a scuola dalle suore come le signorine, ma a casa di una maestra che era una via di mezzo.
(3.continua)