Chi entrava nell’atrio tetro del commissariato non immaginava quanto ariosi e pieni di sole fossero gli uffici all’ultimo piano. Dopo più di un anno Luigi Dauria non si era ancora abituato a tutta quella luce ed alla visione magnifica della città. La sua stanza dava su una terrazza esposta a sud ovest dalla quale poteva vedere da un lato, oltre i tetti, il porto ed il suo movimento incessante di imbarcazioni grandi e piccole e dall’altro lato l’immagine immutabile nei secoli della Certosa di San Martino, icona della città fino al ‘600 e tale rimasta per lui.
Così quando doveva pensare si rivolgeva ora all’una ora all’altra delle immagini, in accordo al tenore dei suoi pensieri. Quella mattina era il porto che assecondava la sua impazienza, bisognava fare qualcosa, ma non sapeva cosa: erano passati due giorni e tutto era fermo: sul delitto Gargiulo sembrava che dovesse scendere troppo presto il silenzio.
Per fortuna qualcuno arrivò spontaneamente: Angelo Gargiulo, figlio minore della vittima, venne annunciato e, con fare forzatamente disinvolto, un bel giovane entrò nell’ufficio. Con la sua eleganza ricercata mise subito a disagio il commissario che guardò desolato il proprio jeans marrone terribilmente poco intonato alla giacca grigia. Per rifarsi andò subito all’attacco:
“Dove è stato tutto questo tempo? l’abbiamo cercata a tutti gli indirizzi che ci ha fornito suo fratello.”
“Mi dispiace, ho saputo la terribile notizia solo ieri sera tardi quando sono rientrato da Milano dove mi sono trattenuto per alcuni giorni per seguire un mio cliente. Mi dica, avete scoperto chi è stato?”
“Piano, avvocato. Quello che abbiamo accertato è che suo padre ha aperto al suo assassino, se questi non aveva addirittura le chiavi, quindi stiamo indagando tra le sue conoscenze. Lei non potrebbe dirci chi frequentava suo padre?”
“Veramente non credo che vedesse molte persone, oltre ai vicini di casa…”
“E voi due figli.” aggiunse il commissario.
“Naturalmente, eravamo molto legati a Tommaso. Lo sa, vero? che non era nostro padre.”
“E’ per questo che lo chiama per nome?”
“Vuole dire perché non lo chiamo papà? non lo so, nostra madre ce lo ha sempre proibito. Mi ricordo che quando eravamo piccoli ci sgridava aspramente se dicevamo mio padre e dire che non ci ha mai voluto parlare del nostro vero padre.”
“Lei pensa che ci sia qualche mistero nel passato di sua madre che possa avere attinenza con la morte di Tommaso Gargiulo?”
“No commissario, io non voglio dire questo! rispondevo solo alla sua domanda.”
“Un attimo, prego. – il commissario lo interruppe per rispondere al telefono interno – Va bene, dì alla signora che vado io da lei. Mi dispiace avvocato, continueremo la nostra chiacchierata un altro giorno. Ora le dispiace andare nell’ufficio accanto e lasciare all’agente Sirica la descrizione dei suoi movimenti nei giorni scorsi?”
Con fare disinvolto Angelo Gargiulo lasciò la stanza.
(5.continua)