Da una piccola finestra della certosa il commissario Luigi Dauria guardò la distesa del mare tagliata dalle scie di barche e aliscafi e, a perpendicolo, la città tremolante nel caldo. Lassù non arrivavano rumori e le mura possenti mantenevano fresca l’aria che entrava dai balconi. Nella sala accanto una tenda bianca era gonfia di vento.
“E’ estrema, – pensò il commissario – veramente una città estrema, nella bellezza e nello squallore.”
Era per questo che i suoi abitanti erano tutti un po’, come dire… eccitabili; sorrise mentalmente all’immagine di Massimo Troisi che faceva il gesto di avvitare una lampadina per indicare che l’amico era per l’appunto un po’ svitato o meglio nervoso. Una volta, in basso, aveva visto un quadretto che avvisava: In questa casa siamo tutti nervosi.
Il trillo discreto del cellulare nella tasca interruppe quei pensieri vagabondi.
“Pronto, commissario, sono Sirica. Mi dispiace disturbarvi quando state fuori servizio ma qui stanno tutti in ferie e, visto che comunque ve ne dovete occupare voi, tanto vale che venite. C’è un morto, forse non è un incidente. Un vecchio in casa sua.”
“Va bene. Sono a piedi, manda qualcuno a prendermi.”
“E’ proprio necessaria questa sirena?” chiese il commissario all’agente Landolfi che aveva uno stile di guida a dir poco spericolato.
“Commissario, qui se non facciamo così restiamo bloccati, c’è un traffico maledetto.”
Si erano scapicollati giù dalla collina ma poi la loro corsa era stata interrotta dal solito blocco di piazza Mazzini. Dopo una serie di sorpassi azzardati e molti sguardi di odio rassegnato, finalmente la macchina si fermò in un vicolo davanti ad uno dei mille palazzi del centro dimentichi ormai dei fasti di un tempo.
C’era la immaginabile confusione tra gente che voleva vedere e agenti che tentavano di tenere lontani i curiosi. Il commissario trovò Sirica ad attenderlo. Insieme salirono le scale che, buie all’inizio, erano poi rischiarate da alti finestroni , felci e ficus benjamin cercavano invano di mascherare il degrado. Si fermarono al terzo piano, davanti ad una porta chiaramente aggiunta in un secondo momento, quando i vasti appartamenti originari erano stati divisi.
“E’ qui, commissario.”
La scientifica era in piena azione, il corpo giaceva ancora dove era caduto, tra il comò ed il grande letto matrimoniale. Era la stanza di vecchi coniugi con i mobili certamente comprati al tempo del matrimonio, chissà quanto tempo prima: il letto, i comodini, il comò e l’armadio a tre ante, tutto nello stesso stile e di legno massiccio. La stanza aveva un balcone chiuso da una serranda che, come spesso si vede nei palazzi della città, aveva sostituito le antiche, pesanti imposte.
“Allora, chi è? avete avvisato i familiari?” Il commissario, dopo un primo, rapido esame della situazione, si era spostato nell’altra stanza che, insieme ad una piccola cucina e ad un bagno rifatto da poco, costituiva l’appartamento. Ed ora, seduto al tavolo, interrogava Sirica che leggeva dai suoi appunti.
“Si tratta di Gargiulo Tommaso, nato a Casoria il 31 agosto 1930, ferroviere pensionato. La moglie è morta tre anni fa, i due figli, sposati, sono stati avvertiti e stanno arrivando. Il cadavere è stato trovato da una vicina che ha le chiavi e veniva a portargli il giornale e la spesa come al solito. Sta qui, la potete interrogare.”
Il commissario fece cenno di continuare.
“Come avete visto, la casa è quasi a posto, se si tratta di un ladro non ha fatto a tempo a prendere molto, certamente c’è stata una lotta e questo poveretto è caduto e ha sbattutola testa.”
“Come sono entrati?”
“Sembrerebbe dalla porta, ma non ci sono segni di scasso. Però la signora ha detto che non era chiusa a chiave come al solito. Chi è uscito deve averla chiusa dietro di se. Le finestre sono a posto quindi è entrato e uscito dalla porta. Il Gargiulo doveva conoscerlo perché gli ha aperto. Oppure quello teneva addirittura le chiavi.”
“Che dice il medico?”
Sirica lesse ancora dal suo taccuino: “Causa probabile, quasi certa, del decesso trauma cranico provocato da un urto su uno spigolo di marmo in seguito ad un pugno al mento particolarmente violento, ora del decesso intorno alle 23. Sarà più preciso dopo l’autopsia.”
“Commissario, – avvertì un agente – c’è il figlio della vittima.”
“Va bene, continuiamo dopo.” Il commissario si alzò per andare incontro ad un giovane alto e robusto, visibilmente scosso.
“Sono Mario Gargiulo, il figlio più grande. Mio fratello non sono riuscito a trovarlo. Che è successo, chi è stato? se lo trovo lo ammazzo con le mie mani! pigliarsela con un povero vecchio! Mio padre era un santo, non ha mai fatto male a nessuno. Tutti gli volevano bene, ve lo possono dire qui nel palazzo che era…”
“Signor Gargiulo, è banale dirle di calmarsi, mi rendo conto che è un colpo terribile. Le posso assicurare che stiamo facendo tutto con grande scrupolo. Ora forse non se la sente, ma più tardi vorrei parlare con lei e con suo fratello. Sirica, accompagna il signor Gargiulo di là e mandami la vicina che lo ha trovato.”
(2. continua)