Qualche giorno dopo, in una mattinata di quel giugno splendente, il commissario e Sirica passeggiavano, come due monaci d’altri tempi, sotto il pergolato di uva cordicella nel giardino della Certosa e, come monaci d’altri tempi, discutevano di numeri magici. Il fatto era che a Sirica era venuta l’idea che nella combinazione vincente potesse essere nascosto il nome dell’assassino e da buon napoletano si era subito lanciato nell’interpretazione della cabala. Il suo capo invece si vergognava e temeva di diventare lo zimbello di tutto il corpo di polizia, dunque non solo la sera prima si era categoricamente rifiutato di seguire Sirica da una certa maga, a suo dire, infallibile ma, quella mattina si era altrettanto categoricamente rifiutato di discutere in ufficio il responso della signora. Ed era per questo che ora, lontani da orecchie indiscrete, i due uomini molto seriamente cercavano di far parlare i numeri.
“Allora, ricapitoliamo – stava dicendo Sirica, consultando i suoi appunti – la combinazione vincente è 6, 8, 21, 30, 31 e 51. Non scendo nei particolari perché so che su certi argomenti siete un po’ timido, vi dico solo che il sei ed il ventuno riguardano la donna e quindi certamente il Gargiulo aveva un’amante, ma il sei significa anche il vedovo che si riammoglia, il cinquantuno vuol dire il figlio medico ma anche il litigio tra donne. Secondo me, c’è stato un litigio tra donne e cioè tra la nuora e questa donna per il fatto che Gargiulo la voleva sposare. Possiamo pensare che padre e figlio si sono giocati i numeri.”
“Scusa, ma potrebbe essere stata questa donna a giocare, anche se non mi sembra verosimile che la signora Bisca non abbia fatto nemmeno un cenno a questa storia e poi il medico era di guardia in ospedale quella notte. Secondo me, devi pensare a qualche altra cosa.”
“Aspettate, commissario, non ho finito. Allora, il sei può indicare la casa bella e l’otto la casa messa a nuovo, il trentuno significa il padrone di casa, il trenta l’avvocato con la toga, il cinquantuno sempre il figlio medico e quindi, in questo caso, possiamo pensare che tutti e due i figli hanno giocato col padre per risolvere il problema della casa. Me lo avete detto voi che c’erano state discussioni per la vendita, non vi ricordate?”
“Questa già mi sembra una interpretazione più sensata, ma torniamo sempre al punto che i figli, oltre ad avere un alibi, sono anche quelli che comunque avrebbero tratto beneficio dalla vincita e non avevano nessun motivo di ammazzare il padre e poi, anche se non mi sono simpatici, devo riconoscere che mi sembrano affezionati al padre, malgrado quello che dice la Bisca.”
“Non c’è problema, lasciamo stare. Sentite questa: il ventuno significa l’amministratore che ruba e scappa! E se Gargiulo avesse scoperto qualcosa sull’avvocato Danise? non vi dimenticate che il trenta indica l’avvocato. Poi c’è dell’altro. Aspettata…allora: l’otto può significare la Madonna, le monache che cantano, i monaci in biblioteca, insomma un convento che deve avere il giardino, perché c’è il cinquantuno, il trentuno significa anche ereditare per caso e pure il monaco che fa il voto, il trenta è l’eremita e così abbiamo questo fatto: uno per voto si fa monaco in un convento dedicato alla Madonna, un convento con il giardino, che so Pompei o Madonna dell’Arco, e lascia a qualcuno di inatteso la sua eredità, ma l’avvocato e amministratore disonesto lo viene a sapere prima e si prende tutto lui. Che ne dite?” concluse Sirica con tono definitivo.
“Senti, mi dispiace deluderti ma secondo me stiamo solo perdendo tempo, questi numeri possono significare tutto ed il contrario di tutto, del resto è questo il loro fascino, ognuno può leggerci quello che vuole. In fondo tutta la saggezza popolare basata su questo principio che non esiste una verità, ma tante quanti sono gli esseri umani. Quindi faremmo meglio a seguire strade più tradizionali, che so, telefoni sotto controllo, pedinamenti…tuttavia, con i tuoi numeri, mi hai fatto venire qualche sospetto, sai con chi voglio fare due chiacchiere di persona?”
“Con chi?” chiese Sirica depresso.
“Con l’avvocato Danise. Forse abbiamo sottovalutato il fatto che essendo l’amministratore del palazzo non solo aveva le chiavi ma aveva anche motivo di recarsi spesso a casa di Gargiulo, probabilmente conosceva la sua situazione economica meglio degli altri oppure potrebbe essere lui il compagno di gioco…” aggiunse il commissario nel tentativo di rianimare Sirica che come sempre non conosceva mezze misure e dall’entusiasmo sembrava essere sprofondato nell’indifferenza.
Tornati in ufficio, riuscirono ad avere un appuntamento con l’avvocato per il primo pomeriggio alla studio, ma al momento di uscire Sirica era di umore così tetro che il commissario decise di farsi accompagnare dall’agente Landolfi.
“Mi raccomando, adesso non correre, non abbiamo nessuna fretta.” Il commissario si sistemò oiù comodamente e, per tenere occupato Lamdolfi, gli chiese: “Anche tu giochi la schedina?”
“E chi non gioca? Questa è una malattia generale, anzi una vera epidemia, qua vi dovete stare attento a come parlate che subito ci fanno i numeri sopra! Io però gioco poco, un piccolo sistemino elaborato da mio cugino col computer. Ha pure cercato di spiegarmi come funziona ma io ho capito solo che una volta avevamo preso cinque numeri e non abbiamo vinto niente perché, ha detto mio cugino, non si sono verificate le condizioni. Comunque , lo sapete, quello che si paga è la speranza, se uno non gioca non c’è manco quella. Perché, voi non giocate?”
“Che ti debbo dire, quasi mi vergogno a questo punto, ma io non ho mai giocato.”
A Luigi Dauria non piaceva essere originale e così si affrettò ad aggiungere: “Però ora mi avete fatto venire la curiosità, quando abbiamo finito, vado a giocare anch’io una schedina.”
Intanto erano arrivati. Dopo aver lasciato l’auto i due uomini salirono al primo piano e poco dopo vennero ricevuti dall’avvocato Danise.
La casa era inaspettatamente bellissima: un unico grande ambiente aveva sostituito i diversi vani originari di cui rimaneva traccia nei muri maestri che dividevano lo spazio in funzione dei diversi usi. L’avvocato guidò i due poliziotti verso un angolo protetto da rigogliose piante verdi e da uno scaffale a giorno in cui libri e ninnoli erano disposti in una apparente casualità. La scrivania high-tech e la libreria nera, di quelle antiche con le grate ed il damasco rosso al posto dei vetri, suggerivano al contempo serietà, tradizione ed efficienza. L’avvocato ai suoi ospiti le poltroncine di pelle ne accostò una terza per lui e con un sorriso chiese in cosa potesse essere utile. Rispose con molta cortesia e senza mai spazientirsi a tutte le domande sulla sua attività professionale. A proposito del compito di amministratore dichiarò con tono confidenziale: “In verità, commissario, non mi dimetto per gentilezza verso gli altri condomini, ci sono tra noi vincoli di amicizia che ci rendono quasi una famiglia. Ma la gestione è tutt’altro che facile, soprattutto a causa di uno dei due appartamenti vuoti al secondo piano che è stato ereditato da ben quindici cugini. Questi risiedono in diverse città e quasi non hanno rapporti tra loro così non riescono a venderlo e si decidono a pagare le spese condominiali solo dopo ripetuti e perentori inviti.”
“E non me lo affitterebbero a me?” chiese Landolfi senza riflettere.

(14.continua)