RENATO MEREGHETTI

Intervista raccolta da Sergio Russo

 

E’ nato ad Albairate, in provincia di Milano, novantuno anni fa ed ora vive a Reggio nell’Emilia. Città, luoghi, anni che rievocano la guerra. Quella guerra combattuta, a torto o a ragione, dai nostri padri e trasformata per noi in cento racconti della nostra infanzia. Renato Mereghetti l’ha vissuta, combattuta e subìta, come ha subìto la prigionia in Germania che ancora oggi gli procura una istintiva avversione per il “tedesco”. Ama la storia dell’arte e viaggia per ammirarne le opere. Poi trasforma le emozioni in scrittura.

Quando ha cominciato a scrivere?

Non ho coltivato durante la mia acerba e poi lunga gioventù il gusto dello scrivere. Anzi, a scuola i temi che proponevano erano per me un tormento. Lo svolgimento che presentavo era striminzito, mi salvavo con un’impeccabile grammatica (ero bravino in latino) cosicché il voto che ottenevo era sempre del sei e mezzo con il giudizio: “. . . mancante di sviluppo”. Ma, del resto, una volta come svolgimento scrissi: “sì, è vero” e nulla più. Però ottenni un bell’otto quando il professore mi chiese di scrivere qualche cosa di mio gusto.

Nei suoi scritti che ruolo ha la realtà?

Ho scritto molto su cose reali, su comportamenti dei miei simili, su eventi accaduti. Perciò ho scritto un libro sulla guerra cui presi parte. Ma proprio per fede alla realtà ho raccontato anche gli scherzi, le monellerie che pure, fra un bombardamento ed un attacco, fra la fame  e la sete di mesi ed anni, facevamo fra commilitoni. I comunisti puri hanno bocciato il mio lavoro, ma ho ottenuto il consenso dei miei coetanei,  uomini e donne che hanno vissuto quegli anni al fronte o a casa.

Scrive per sé o per comunicare agli altri le sue emozioni?

Certamente , scrivo per me ma anche per le mie lettrici che amano leggere più dei maschi di cose commoventi ma anche (e di molto) di cose garbate sulle cose e la natura. E certo mi fa piacere quando ricevo qualche complimento.

Ha uno stile di scrittura a cui fa riferimento?

Mi piace scrivere in modo colloquiale, come quando al bar si discute per qualcosa in contrasto o in accordo. Ed è proprio il bar che in questi giorni mi ispira. Ne sto raccogliendo i pensieri, pensieri  da bar appunto,  che butto giù come uno zibaldone, poi si vedrà!

Nello scrivere la condiziona il pensiero del futuro lettore?

Sì, il lettore mi condiziona. Ed è la donna a cui mi rivolgo perché ho costatato che solo le donne sanno leggere.