“Angioini, Aragonesi, Austriaci, Borboni….loro sono passati, la nostra famiglia è rimasta sempre potente all’ombra del potere.” Commentò il giovane ammiraglio guardando il gentiluomo del Settecento.
“Che vuoi dire, che siamo degli opportunisti attenti solo al nostro interesse? Questo non è vero, guarda me: io, Viceré del Perù avrei potuto arricchirmi, altro che feudo di Amalfi, e invece sono morto lontano da Napoli e povero ma con l’orgoglio di aver sempre fatto il bene del mio paese…”
“Il tuo paese? Quale è per te il tuo paese, Napoli o la Spagna?” lo interruppe il Gran Siniscalco.
“Non capisco…che differenza c’è? Napoli era parte integrante del regno di Spagna ed io ero un leale suddito del nostro sovrano. Quando gli Austriaci occuparono Napoli io persi i miei beni e riparai in esilio in Spagna dove il mio re mi concesse grandi onori. Napoli non l’ ho più rivista, la bella Napoli, luogo della mia giovinezza e dei miei studi, dell’appassionata conversazione con tanti uomini di ingegno. Se per te, mio potente antenato e per te, mio coraggioso discendente, è struggente il ricordo della gloria e del comando, per me la nostalgia più forte è per quegli anni di speranza. Eravamo convinti che le varie scienze, applicate alla pratica potessero rendere bello e giusto il mondo, che la storia potesse essere di modello ai governanti così come la matematica, applicata alla geografia, permetteva di navigare per i mari e scoprire nuove terre, così come la scoperta della circolazione del sangue permetteva nuove ed efficaci cure mediche.
Forse nessuno lo ricorda ma io, quando ero Viceré del Perù, sfidando la Santa Inquisizione, organizzai all’Università di Lima una conferenza del mio medico Federico Bottoni, grande uomo e grande scienziato, seguace della Scuola Salernitana. Ricordo ancora lo stupore di quei dotti, isolati dal grande dibattito europeo, nell’udire che era possibile, grazie alla circolazione del sangue, iniettare farmaci in vena. Era stata una grande scoperta del mio amico ed io volevo che fosse condivisa anche con chi operava e studiava in terre così lontane, che anche i dotti delle colonie partecipassero a quella grande Repubblica delle Lettere che coinvolgeva artisti e studiosi di tutta l’Europa. Ci scrivevamo lunghe ed appassionate lettere, ci incontravamo nelle accademie, nei salotti, nelle università. A Bologna ebbi modo di conversare con un grande uomo, Muratori, si chiamava, ci fu subito intesa, stima e direi simpatia tra di noi, avevamo la stessa idea della storia, pensavamo entrambi che la storia dovesse essere di guida ed esempio e monito ai nostri governanti. Ricordo che in un discorso all’accademia ebbi modo di ricordare la figura del grande Cesare il quale sosteneva che chi ha il potere deve essere al di sopra di ogni sospetto, deve avere una condotta morale superiore a quella dei suoi governati….quello che è permesso o perdonato ai comuni cittadini non è concesso a Cesare…”

(3.continua)