Quella mattina la signora Bisca non riusciva a combinare niente,
un’ansia insopportabile la opprimeva, cominciò a lavare i piatti poi cambiò idea e andò a rassettare in camera da letto. Raccolse un paio di calzini sporchi e li mise nella lavatrice in bagno, si accorse che non c’era il detersivo, così andò a prenderlo in cucina, lì vide i piatti da lavare, si scordò del bucato e riprese a lavare i piatti ma il tarlo nel cervello non le dava tregua. Aveva già mentito alla polizia ma le sembrava che non bastasse, doveva inventarsi qualche altra cosa. Il suo sguardo cadde sul citofono appeso alla parete. Questa era quasi un tramezzo e dall’altra parte c’era la casa di Gargiulo che aveva il citofono su quella stessa parete, a volte non si capiva in quale casa suonasse. Le sembrò una splendida idea, corse al telefono e chiamò il commissariato.

Il commissario si fece lasciare da Landolfi in via Carbonara e si incamminò a piedi. In un altro paese europeo sarebbe stata una strada bellissima con ampi marciapiedi alberati, la chiesa monumentale dove riposano i Caracciolo, splendidi palazzi nobiliari. Invece tutto era deturpato dall’abusivismo edilizio e dal parcheggio selvaggio.
Il caldo di quel giugno infuocato era opprimente, passando davanti ad un barbiere gli venne in mente quel poeta francese che racconta la sensazione di benessere provata facendosi radere in una bottega napoletana. Anche al commissario la penombra del negozio fu di sollievo dopo la luce abbacinante della strada e quando il barbiere gli bagnò il viso con fresca acqua profumata, maledisse la civiltà che andava privando l’uomo di piaceri così sublimi. Poche parole per accordarsi sul servizio richiesto e poi i due si predisposero al rito della conversazione. Poiché non si conoscevano furono necessarie varie battute di avvicinamento sul caldo, sullo scudetto appena consegnato alla solita squadra del nord. Quando arrivarono a commentare disservizi e maleducazione il barbiere ritenne che era giunto il momento di passare ad un livello più confidenziale:
“Se non sbaglio state indagando sulla morte del povero Gargiulo.”
“E voi come lo sapete?” chiese stupidamente il commissario e poi, senza aspettare la risposta: “Che si dice nel quartiere di questa faccenda?”
“Commissario, io ve lo dico perché l’ho sentito dire ma non mi ricordo chi me lo ha detto, qui viene tanta gente, il povero Gargiulo era un mio affezionatissimo cliente, sapete io sono il barbiere più antico della zona, mi hanno messo pure in un libro, lo vedete? quello lassù sull’ultima mensola.”
“Veniva spesso Tommaso Gargiulo?”
“Ogni sabato alle undici entrava da quella porta preciso come un orologio poi usciva di qui e andava dal tabaccaio a giocare…e questo vi volevo dire, commissario – il barbiere, giusto per rispettare le convenienze, si chinò un poco ed abbassò la voce – pare che ci sia di mezzo una schedina.”
“Vincente, ovviamente.” Il commissario non finse nemmeno interesse per quella abusata leggenda metropolitana.
“Sicuro! Commissario, ho capito che non mi credete e invece secondo me questa volta c’è veramente qualcosa. Andate a parlare con il tabaccaio, pare che nella sua ricevitoria è stato fatto un sei al superenalotto e non si riesce a sapere chi è stato.”
“Perché secondo voi uno che vince lo va a dire in giro?”
“Eh! a voi che rappresentate lo stato certo non lo va a dire e nemmeno a noi lo dice chiaramente, ma qualcosa sempre si capisce e invece questa volta niente… Tommaso Gargiulo giocava abitualmente, è stato ammazzato, nessuno dice di aver vinto…come dice Totò, è la somma che fa il totale! Commissario, seguite il mio consiglio, andate a parlare con il tabaccaio, il povero Gargiulo era una persona perbene, non è giusto che il suo assassino la passi liscia.”

(6.continua)