L’agente Landolfi, che quando non poteva sfidare le ire degli automobilisti con le sua temerarie gimcane si annoiava terribilmente, in quel momento si stava annoiando a Mergellina. Era posteggiato dal lato del mare, di fronte agli chalet, con il compito di tenere d’occhio l’avvocato Danise il quale, alla studio nel palazzo di Tommaso Gargiuloi, preferiva i tavolini del bar.
Avevano già appurato che i suoi affari erano a dir poco spericolati, sempre in bilico sull’orlo della legalità e spesso venivano discussi all’aperto davanti ad un caffè o un aperitivo, usanza questa non proprio originale visto che si vedevano anche altri tavoli ingombri di incartamenti e cartelline.
Era una di quelle giornate spettacolari di cui i Napoletani sono convinti di avere l’esclusiva. Il mare sembrava aver recuperato la sua innocenza primigena e luccicava azzurro sotto i raggi di un sole fermo ma non impietoso, una leggerissima brezza ne diffondeva l’odore. Il traffico era quasi inesistente ed i bambini, per fortuna ancora chiusi nelle aule scolastiche. Landolfi avrebbe avuto voglia di scendere dalla macchina e andare a fare quattro chiacchiere oziose con i vecchi pescatori seduti a rammendare le reti, come in una veduta dell’ottocento. Suo nonno era stato uno di loro e forse qualcuno se lo ricordava. Quando era bambino si era fatto raccontare almeno mille volte di quando aveva vinto la mitica regata dei gozzi da Posillipo al Porto Nuovo, quello che ora si chiama Borgo Marinari, o di quando aveva fermato la tromba d’aria incrociando i remi in un rito di cui si è persa la memoria.
Si rese conto che la noia lo aveva distratto e con ansia tornò ad occuparsi dell’avvocato. Ringraziò il suo angelo custode che l’aveva richiamato in tempo: l’avvocato Danise stava parlando, e chissà da quanto tempo, con uno che aveva sicuramente visto negli interrogatori sul caso Gargiulo ma non si ricordava il nome. Chiamò subito la centrale, la noia era scomparsa e Landolfi si era riconciliato con il suo lavoro.
Nel frattempo il commissario si era deciso a seguire il suggerimento del barbiere e si era fatto accompagnare dal fedele Sirica in qualità di esperto del gioco del lotto e di napoletanità.
La tabaccheria di Valerio Moccia si trovava quasi appartata, in uno slargo dell’ampia strada trafficata; ormai la vendita di tabacchi, caramelle e cartoline era solo una attività secondaria, relegata com’era ad un piccolo banco vicino all’entrata, mentre il posto d’onore era riservato ad un grande, moderno bancone, protetto da vetri, dietro i quali si vedevano diversi computer ed altre meraviglie tecnologiche. Colorati cartelli annunciavano che la ricevitoria era abilitata al gioco del totocalcio, totogol, superenalotto e le pareti erano praticamente tappezzate di schedine già compilate, sistemi integrali e condizionati, carature. Il commissario, fermo ai tempi del vecchio totocalcio, non si aspettava tanta efficienza e rimase muto e sconcertato davanti al giovane che, senza smettere di digitare sulla tastiera, con tono professionale gli chiese cosa volesse giocare. Sirica prese in mano la situazione presentando il commissario e se stesso, il lampo di diffidenza nello sguardo fu subito mascherato da un sorriso e Valerio Moccia dichiarò di essere a loro disposizione anche se non vedeva in cosa potesse essere utile.
Dopo varie schermaglie condotte con molta abilità da entrambe le parti, con finte, attacchi laterali, ritirate strategiche ed affondo finale, il giovane fu costretto ad ammettere quello che, in verità, i giornali avevano già pubblicato e cioè che in quella ricevitoria era stato realizzato l’unico sei del superenalotto di sabato 20 giugno e che il premio era di ben 54 miliardi. Non solo, Sirica riuscì ad estorcere al giovane, ormai confuso, la confessione che, secondo lui, il premio non era stato ritirato, che doveva essere sicuramente successo qualcosa perché altrimenti, nel quartiere, si sarebbe saputo chi era il fortunato.
A questo punto Sirica decise di sferrare l’attacco definitivo:
“E’ possibile che questo fortunato fosse Tommaso Gargiulo?”
Il giovane impallidì, si dimenticò di respirare, poi riuscì a balbettare: “Non lo so, questo proprio non lo so…non si puo dire…”
“Ma giocava in questo ricevitoria? giocava regolarmente?”
“Si, giocava qui regolarmente,ogni sabato mattina.”
“Quindi sabato scorso ha giocato. Che tipo di giocate faceva?”
“Lui giocava un piccolo sistema, poca roba, diciamo un venticinque colonne.”
“Allora si saprebbe se i numeri che giocava sono usciti!”
“No, non si saprebbe – esclamò il giovane che andava riprendendosi – perché lui non giocava mai gli stessi numeri.”
“Ah! questo è un bel guaio – considerò Sirica deluso , poi ebbe un’altra idea e chiese – giocava da solo?quanto giocava?”
“Adesso non mi ricordo, diciamo intorno alle ventimila lire. Lui diceva che giocava da solo ma io ho sempre pensato che stava in società con qualcuno che giocava il mercoledì, magari da un’altra parte.”
“Va bene, grazie. Commissario, possiamo andare?”
Il commissario, che aveva ascoltato in silenzio tutta la conversazione, si ricordò del suo ruolo e aggiunse un inutile:
”Se sapete qualcosa di nuovo non dimenticate di avvisarci.”
(8.continua)