Alessandro Bisca salutò la madre promettendo, tanto per forma, di non fare tardi e si avviò per le scale, aprì il portone e lo lasciò richiudere rumorosamente, poi si assicurò di non essere visto e salì silenziosamente le scale fino alla porta delle studentesse e bussò. Aprì una ragazza che portava con sicurezza una bella capigliatura ricciuta con qualche tocco di lilla, numerosi orecchini, unghie laccate di verde e, benché fosse vestita di nero, riusciva a dare l’idea di una colorata allegria. Un grande sorriso si aprì sul volto pallido: “Ciao, hai portato i soldi?”
“Eccoli, sono ottanta, bastano? Ti prego, Judy, dimmi che bastano!”
“Ma sì dai, che bastano. Andiamo.”
“Vai tu avanti, se mamma mi vede con te è la fine. Ti raggiungo subito.”
Veramente Alessamdro era seccato di fare la parte del bambino ma sapeva pure che la madre a volte sapeva essere terribile e scelse il male minore. Judy gli fece uno dei suoi sorrisi un po’ complice, un po’ ironico e uscì per prima.
L’agente Minardi era effettivamente una gran bella ragazza ma, quando era in servizio, mortificava il suo aspetto in abiti anonimi, così i ragazzi non si accorsero che una donna, in compagnia di un altrettanto anonimo signore di mezza età, ferma alla fermata degli autobus, non saliva su nessuna vettura. Davanti alla chiesa c’era il solito gruppo di ragazzi che si aggregavano e si disaggregavano secondo logiche assolutamente incomprensibili, a tratti due si allontanavano poi ricomparivano in tre, più in là si formava un capannello dal quale saliva un inatteso scoppio di risate, qualcuno chiamava qualcun’altro, ma in sostanza per ore non succedeva proprio nulla e l’agente Minardi doveva ripassarsi tutte le lezioni di psicologia dell’età evolutiva per non chiedersi cosa ci trovassero di tanto divertente. Finalmente da una stradina laterale spuntarono Judy e Alessandro intenti in una loro privata conversazione e dopo poco si unirono al gruppo. La Minardi li vide parlare concitatamente, un giovane si allontanò verso un angolo della piazza e subito ritornò. Quando i soldi vennero scambiati con un pacchetto avvolto in carta di giornale, l’agente Minardi ed il suo compagno erano già sul gruppo intimando di non muoversi, subito giunse un furgone della polizia e tutti, tra urla, pianti e spintoni vennero portati al commissariato.
A quell’ora Luigi Dauria stava arrivando con Marinella alla Taverna dell’Orso. Il suo pensiero era molto più lontano dei chilometri che lo separavano dal suo lavoro e si sentiva in pace con il mondo. Come promesso erano andati a fare il primo bagno della stagione, i campi erano pieni di spighe e di papaveri e attraversandoli avevano ritrovato il sapore dell’infanzia nella bianca farina dei chicchi di grano. Il fiume riempiva ancora quasi tutto il suo letto e bagnava generoso i giunchi, i salici ed i pioppi delle rive. Si erano fermati in un’ansa dal greto sabbioso dove l’acqua quasi sostava prima di proseguire turbinosa oltre due grossi massi che ne ostacolavano il fluire. Dopo il bagno, stesi al sole, in uno di quei momenti magici in cui la natura sospende il trascorrere del tempo, il commissario si era chiesto con stupore se la donna serenamente distesa sulla sabbia bianchissima, immagine così fedele della antica madre mediterranea con le sue forme rotonde ed i colori bruni, fosse poi veramente la stessa donna che aveva visto la mattina, tra telefoni e computer, padroneggiare con efficienza segretarie reali e virtuali, immagine altrettanto fedele della nuova donna manager. “Le donne sono partecipi di misteri che noi non potremo mai capire” aveva pensato rassegnato e contento della sua mascolina immutabilità. Tornando dal fiume poi avevano vissuto un altro momento magico quando, stanchi ed affamati, erano passati davanti alla casa della zia che, fingendo la più grande meraviglia per la presenza del nipote, li aveva invitati a salire.
“Ho appena fatto la zuppa di fave, dovete avere fame, venite a mangiare.”
Così i due giovani, grati alla vita per l’esistenza delle zie, si erano seduti al tavolo della cucina, una stanza da casa di paese con il soffitto basso, la finestra piccola, il camino, gli odori dell’inverno ancora nell’aria. La zia, dopo aver messo tutto sul tavolo ed essersi assicurata che mangiassero con appetito, aveva cominciato a raccontare gli ultimi avvenimenti del paese perché Marinella certamente aveva trascurato questo imprescindibile dovere.
“Indovina chi è tornato dalla Germania? Non ci potevo credere, stavo tornando con la corriera e mi sentivo un poco male dato che a metà strada, non so per quale motivo, è cambiato l’autista e si è messo al volante un giovane che prendeva le curve come un pazzo e tutti protestavano. Ad un certo punto sento uno che grida di più, mi vado a girare e chi vedo? Giannino! Veramente, proprio il tuo amico Giannino. Lo devi andare a trovare, sta a casa della nonna. Non so quanto tempo rimane, dicono che ora sta molto bene, dicono che ha trovato l’America!”
Ma il commissario, almeno per quella volta, non ritrovò il suo antico compagno perché la sera, sul tardi, mentre stava cenando con Marinella alla Taverna dell’Orso arrivò una telefonata di Sirica che gli annunciava interessanti sviluppi del caso Gargiulo.
La domenica, nel primo pomeriggio, salutò Marinella, il fiume, il paese, che lo seguì per un pezzo prima di scomparire dietro una collina, e se ne tornò in città.
(10.continua)