Quando Luigi Dauria la vide entrare, vestita di grigio come la suora ma senza velo, si sentì male, il noto dolore sordo alla bocca dello stomaco. Eccola, pensò, è come me la immaginavo, in un’altra vita sarebbe stata bella ma questa vita senza calore ed emozioni l’ha resa insignificante, indifferente…
Sirica, l’unico a notare il pallore del commissario, perse un poco di tempo a sistemare le sedie, poi accennando al giudice istruttore seduto a lato disse: “Commissario, siamo pronti.”
Anche questi guardò il giudice e chiese: “ Vuole interrogarla lei? Come le ho detto la signora è rea confessa ed è disposta a collaborare, ma renderà un’unica deposizione, per questo ho ritenuto opportuno che lei fosse presente, mi scusi un attimo…Landolfi, le avete già preso le impronte? Dobbiamo subito confrontarle con quelle trovate, dobbiamo essere assolutamente certi.”
“Mi scusi, commissario ed anche lei, dottore, mentre gli agenti fanno questa cosa, potrei parlarvi?” disse suor Arcelia, timida ma decisa.
Ester Minardi sarebbe restata volentieri ad ascoltare ma sapeva che toccava a lei e prima che glielo chiedesse il commissario, disse gentilmente:
“Venga con me, signora, faremo in un attimo.”
Suor Arcelia la guardò uscire e poi disse:
“Non so cosa vi racconterà, voglio dirvi subito che di lei nessuno sa niente, ha trascorso tutta la sua vita in convento eppure, dopo tanti anni, non sappiamo nemmeno il suo nome. Quando sono arrivata al convento, lei era già grande e la vecchia Madre Superiora mi raccontò che stava lì dai tempi della guerra. Era stata affidata al convento da alcune donne del quartiere che dopo un bombardamento la avevano trovata vicino alla madre morta. Era una bambina di forse cinque, sei anni, ma non si poteva dire perché, mi diceva la Madre, con la fame che c’era i bambini sembravano tutti più piccoli. Comunque la bimba per alcuni anni non disse una parola, ma si accorsero che era intelligente, capiva gli ordini e li eseguiva con precisione, sapeva anche leggere e scrivere. Con gli anni cominciò a dire qualcosa e poi addirittura a cantare nel coro, ma solo in chiesa, ha una bellissima voce. Fino a qualche anno fa il nostro convento era anche un orfanotrofio così dopo la guerra venne ufficialmente affidata a noi con una identità fittizia, ed è rimasta anche dopo la maggiore età perché non aveva nessuno e poi…insomma è una persona strana, piena di manie, il convento l’ha assunta come bidella ma non può stare con i bambini, i più piccoli si spaventavano e i grandicelli la deridevano, le facevano gli scherzi, lei non reagiva ma si vedeva che stava male così la Madre le ha dato un altro incarico. Io non so se sia veramente normale, come dicono i medici…”
“Non si preoccupi di questo, è ovvio che si terrà conto di tutto.- la interruppe il commissario – Può dirci piuttosto se conosceva la signora Palumbo?”
“Si, un giorno ci telefonò questa signora che non conoscevamo chiedendo se avevamo qualcuno che potesse farle compagnia, aiutarla in casa…le proponemmo più di una ragazza, ma nessuna andava bene, finché alla Madre venne l’idea di proporle Rita, noi la chiamiamo così, quando la signora sentì la sua storia volle subito conoscerla. Andai io con lei, la signora Palumbo fu molto gentile, Rita come al solito rispondeva a monosillabi ma come vi ho detto lei obbedisce sempre e così prendemmo gli accordi del caso. Rita andò il giorno dopo alle sette precise, come stabilito ma, dopo meno di un’ora, era già di nuovo in convento, non ci fu verso di farle dire cosa era successo ma quando sapemmo del delitto pensammo che si fosse spaventata e fosse fuggita. Come potevamo pensare una cosa così terribile, non è mai stata aggressiva… io non ci credo che è stata lei, forse è un sua fantasia…” Vedendo rientrare la donna, la suora le sorrise e la face sedere al suo fianco.
Il commissario le guardava in silenzio, i suoi uomini tacevano, contagiati dalla sua tensione, alla fine il giudice disse spazientito:
“Allora, cominciamo? Signora, vuole farci la sua deposizione?”
“Dov’è il registratore? In televisione i poliziotti ce l’hanno!”
Il giudice le indicò l’apparecchio sulla scrivania.
“Va bene, sono pronta. In questi giorni ho pensato a quello che dovevo dire quando sareste venuti a prendermi, vi aspettavo, lo so che ho fatto una cosa brutta e devo essere punita. Ora vi dico perché l’ho uccisa. Dunque, mia madre è morta quando io avevo sei anni e da allora ho sempre vissuto al convento . Di lei un po’ mi ricordo, di mio padre invece non ricordo nulla. Quando ero piccola ero molto triste, mia madre mi diceva sempre di non dire come mi chiamo e di non parlare con nessuno e così io stavo sempre da sola. Una volta una suora disse che santa Rita è la santa dei miracoli impossibili ed allora io feci un disegno di mia madre, feci anche una cornice come ci aveva insegnato la maestra e lo appesi nella sua cappella e per qualche anno ho aspettato. Poi crescendo non ci ho più pensato, sono sempre stata bene al convento, le suore mi hanno protetto e pensavo che la mia vita sarebbe continuata così. E invece il miracolo lo ha fatto il diavolo!- la donna sorrise con imprevista arguzia – Un giorno la Madre Superiora mi chiese se volevo andare a lavorare da un signora anziana ed io dissi di sì, così Suor Arcelia mi accompagnò. Potete chiedere alla bambina che abita sopra, lei ci salutò, chiamò suora anche me, io non la corressi. Poi entrammo nella casa della signora, io non l’avevo mai vista, lei mi fece delle domande e poiché questo a me da fastidio, suor Arcelia le disse qualcosa di me e poi presero gli accordi per il mio lavoro. Il giorno dopo, alle sette ero già da lei, volevo iniziare i lavori, ma la signora mi disse: “Siediti, prendiamo il caffè insieme, parliamo un poco.” Questo già mi aveva indispettito, il caffé non mi piace e non mi piace nemmeno parlare, comunque mi sedetti e lei prese due scatolette, me le mise davanti e disse: “Queste sono tue, appartenevano alla tua mamma.” Aprii una scatola e c’era una collana d’oro che non avevo mai visto, poi aprii l’altra e c’era la farfalla, la spilla a forma di farfalla!”
La donna prese dal sacchetto di plastica il quadretto e lo mise sulla scrivania. Era il disegno ingenuo e sgraziato di una donna che aveva sul vestito una grande farfalla di vari colori.
“Quando la vidi la riconobbi subito, è una delle poche cose che ricordo bene di mia madre, la metteva quando si vestiva elegante, in un attimo mi ricordai una cosa che avevo dimenticato, che poco prima di morire l’aveva venduta per una bottiglia d’olio ad una donna cattiva che la faceva piangere e quella donna era la vecchia davanti a me, pensai che era colpa sua se mia madre era morta ed io ero rimasta sola, così la odiai, quando mi disse di prendere dei biscotti sul mobile alle sue spalle, io mi alzai con la catena in mano e da dietro gliela ho stretta al collo finché non è caduta a terra con la sedia, allora ho preso la farfalla e sono tornata al convento. Ero sicura che sareste subito venuti, invece nessuno mi diceva niente e allora ho dato la farfalla alla bidella, la signora Rispo, per darvi un indizio. Ecco, ho finito, mi chiamo Miriam, mia madre si chiamava Sara e mio padre Hans, i cognomi non li so.”
Il commissario sapeva che era inutile tentare di farle aggiungere altro e attendeva in silenzio che il giudice si arrendesse. Fu interrotto dall’arrivo della Madre Superiora accompagnata da un avvocato famoso. “Addirittura! – si lasciò scappare il giudice – il professor Garrone!”
“Il professore è un nostro caro benefattore, quando l’ho chiamato è subito venuto, è tanto buono.” Disse la Madre.
“Scusatemi tutti . disse il commissario – mi allontano un attimo, voglio controllare un particolare. Sirica, vieni con me.”
“Povera donna!- disse sottovoce il commissario appena usciti –ho bisogno di un po’ d’aria, non li sopporto!”
“Ma che è successo? Non vi capisco.”
“Mi meraviglio di te, Sirica! Domani questa storia starà su tutti i giornali. Secondo te il buon Garrone perde gratis il suo tempo? Ma noi non gli daremo una mano, avvisa tutti che se qualcuno si fa scappare una parola con la stampa farà i conti con me!”
“Meglio se dico che li farà con me, commissario.”
Quando tutti furono andati via era già scesa una notte piovigginosa, il commissario uscì sulla terrazza, il dolore allo stomaco era quasi passato, era rimasta la tristezza, così guardò la sua Certosa e cercò invano le stelle.
(13.fine)