Poiché il gestore della ricevitoria si era impegnato ad andare in ufficio alle due, nell’orario di chiusura, il commissario decise di andare a prendere il caffè dalla signora Bisca. Si era quasi affezionato alla donna e voleva essere lui a darle la buona notizia.
Luigi Dauria, cresciuto in un paese di montagna dove le cucine, per via dei camini, avevano sempre come un velo di fuliggine e le strade invece il chiaro nitore dei ciottoli di fiume, restava ogni volta sorpreso ed ammirato dal bianco splendore delle cucine napoletane e si chiedeva ogni volta come persone abituate a tanta pulizia potessero poi passare indifferenti per strade così irrimediabilmente lerce. Più di una volta era rimasto a guardare stupito uscire, dalla porta spalancata di un basso, allo stesso tempo flussi di melodie canore e di acqua saponata con cui qualche giovane donna in pigiama e ciabatte aveva inondato il pavimento.
Anche la cucina di casa Bisca luccicava, nel tegame sul fornello l’orlo della salsa bolliva dolcemente diffondendo un divino profumo che fece sognare il commissario ad occhi aperti: si vide cospargere di quella delizia una bella fetta di pane fatto in casa, come al suo paese. Invece dovette accontentarsi del caffè.
Lui e la signora si sedettero a berlo, come vecchi amici, al tavolo nel centro della stanza. Man mano che il racconto del commissario procedeva il viso della donna si distendeva fino ad illuminarsi in una risata liberatoria.
“Ma allora Sandro non c’entra! Commissario, vi darei un bacio, lo so, ho fatto peccato a dubitare di mio figlio ma che volete lo vedevo così diverso ma ora ho capito cos’è! – aggiunse rabbuiandosi di nuovo – è quella ragazza che lo sta sviando. Io lo sapevo che non era una buona amicizia ma ora gliela faccio sentire io la musica a quei due!”
“In realtà, se i ragazzi li tengono per se i dischi, non c’è reato. L’importante è che non si mettano a venderli, cosa che purtroppo, secondo noi, avevano cominciato a fare. Raccomandate loro di stare attenti e poi lasciateli stare, credete a me, se li contrastate è peggio. Adesso però signora, mi dovete aiutare, senza raccontare frottole. – disse sorridendo – Secondo voi, chi ha rotto i sigilli, visto che non siete stati né voi né vostro figlio? Chi altro aveva le chiavi?”
La donna si sistemò più comodamente sulla sedia per godersi meglio quel momento. Libera ormai dall’ansia che la torturava da giorni, poteva abbandonarsi con soddisfazione al piacere di raccontare, supporre, commentare con la coscienza di non fare solo pettegolezzi.
“Allora, oltre a me, la chiave la tengono i figli, una per uno, poi una la tiene sicuramente l’amministratore e poi basta, secondo me. Ma naturalmente se poi lui l’aveva data a qualcuno io non lo so. L’amministratore è l’avvocato, quello che abita al primo piano e tiene le chiavi di tutti perché tempo fa ci fu una perdita d’acqua esagerata dall’appartamento della signora Perna, quella che è andata a vivere a casa della figlia e non c’è mai. Non vi dico, commissario, l’acqua scendeva per le scale come un fiume e dovemmo chiamare i pompieri per sfondare la porta perché nessuno aveva le chiavi. Così in una riunione si decise che lui doveva tenere tutte le chiavi, non si sa mai.”
Squillò il telefono e la signora andò a rispondere: “Pronto…ciao Alfredo, come si va? Che ha detto il dottore? Bene, mi fa piacere, non la fare stancare, mi raccomando…No, Corrado non c’è, è andato dall’avvocato per quel fatto della macchina. Ti faccio chiamare quando torna. Ciao e salutami Anna.”
Poi, tornando al tavolo: “Era l’amico di mio marito, un carissimo amico, anzi praticamente un fratello, hanno fatto sempre tutto insieme, la stessa scuola, lo stesso lavoro. Non vi nascondo che quando mi fidanzai con mio marito ero abbastanza gelosa di Alfredo, ma poi anche lui si fidanzò con una bravissima ragazza e siamo diventati tutti amici. Ora aspettano il terzo figlio, dopo dieci anni, sono così emozionati, non so se invidiarli o compatirli…sapete i figli, uno si lamenta ma se poi non ci fossero, che vita sarebbe…voi avete figli?”
“No, a dire il vero, non sono nemmeno sposato.”
“Ma come, un bel giovane come voi! Ma ce l’avete la ragazza?”
“Sì, ho una bellissima fidanzata ma abita al mio paese e per ora non è possibile che ci sposiamo.”
“Ma perché, scusate se sono indiscreta, non può venirsene a Napoli?”
Con chiunque altro il commissario avrebbe cambiato argomento ma provava tanta simpatia per quella donna che ebbe paura di offenderla con una risposta brusca, così sorridendo più di se stesso che di lei, spiegò: “Il fatto è che Marinella, la mia fidanzata, si è messa a lavorare con il padre che ha una grande azienda agricola e si è messa in testa di modernizzarla. Lo ha costretto a cambiare tipo di coltivazione, sapete questi prodotti biologici, senza concimi chimici, poi ha avviato la vendita on-line, sarebbe attraverso internet e ora non può certo lasciare il padre da solo.”
“Mamma mia, che cosa difficile, deve essere brava la vostra fidanzata con il computer.”
“Brava? è una maga dell’informatica! del resto ha anche ragione, in paese non è come in città, non ci sono tante distrazioni e allora lei si diverte via internet a parlare con la gente in ogni parte del mondo…ma ora vi sto facendo perdere tempo. Un’ultima cosa e poi vi lascio alla vostra cucina: sempre per quel fatto dei sigilli rotti, non avete sentito nessuno entrare nell’appartamento affianco?”
“No, commissario, ve lo giuro sui miei figli, veramente non ho sentito nessun rumore, mai in questi giorni. Non so come abbiano fatto ad entrare, deve essere stato o in piena notte o mentre ero uscita perché se no qualcosa avrei sentito sicuramente.”
“Arrivederci, signora…con che pasta ve lo mangiate questo sugo?” Non poté trattenersi dal chiedere il commissario.
“Con le pennette, mia madre lo faceva con i rigatoni ma ai miei figli non piacciono, che volete, anche la pasta passa di moda!”

Tornato in ufficio Luigi Dauria non trovò Sirica che era andato a mangiare con i colleghi, ci rimase male in verità perché andare da solo in un ristorante lo metteva ancora a disagio, farsi portare qualcosa in ufficio lo intimidiva ancora di più e così stava per rassegnarsi al digiuno quando l’agente Minardi si affacciò alla porta: “Commissario, posso parlarle un momento?”
Per la fame dimenticò la sua cronica timidezza e sorprendendo se stesso disse: “Stavo uscendo per andare a mangiare qualcosa, venga con me, vuole? così parliamo con calma.”

(12.continua)