Subito il viso ed il tono dell’avvocato assunsero un’espressione di benevolo paternalismo: “Oh ma certo! avere un tutore dell’ordine pubblico come inquilino è senza dubbio una proposta interessante. Mi incaricherò con piacere di far pervenire…”
“Va bene, va bene – il commissario lo interruppe spazientito – questo poi si vedrà in un secondo momento. Parliamo piuttosto dei suoi rapporti con Tommaso Gargiulo.”
“Cosa vuole che le dica, in realtà il signor Gargiulo era per me soprattutto il padre del mio amico e compagno di studi, avrà capito che parlo di Angelo Gargiulo.”
Il commissario si accigliò: era ma impossibile che la signora Bisca ignorasse questa amicizia? ma, a pensarci bene, non l’aveva mai interrogata su questo punto, la giustificò subito.
“In verità – continuò l’avvocato – e certamente qualcuno l’avrà già messo al corrente, condividiamo anche una passione meno virtuosa, ma che vuole, la perfezione non è di questo mondo, insomma giochiamo allo stesso tavolo di poker, la sera della morte di Tommaso Gargiulo eravamo appunto impegnati…”
“Che cosa? Mi faccia capire bene!”
“Mi scusi, sono stato impreciso, ovviamente quella sera c’ero solaio, Angelo era a Milano. Del resto sui nostri movimenti la polizia ha potuto riscontrare la veridicità delle nostre affermazioni.”
Dopo quell’attimo di incertezza l’atteggiamento dell’avvocato Danise era tornato di cortese sicurezza ed il commissario non riuscì a sapere altro.
Scendendo le scale quasi aggredì Landolfi:
“Ma come ti è venuto in mente di chiedergli la casa in affitto?”
“Commissario, scusate, lo so che ho sbagliato ma voi non vi potete immaginare i problemi che tengo!”
“Tu? E che problemi tieni che sei sempre così allegro!”
“Commissario, io rido per non piangere! Dovete sapere che io e quella povera donna di mia moglie la notte non dormiamo perché stiamo in una stanza coi due bambini e se si sveglia uno e comincia piangere subito si sveglia pure l’altro e allora noi le notti le passiamo a passeggiare io con il più grandicello in braccio e mia moglie con quello piccolo, ha fatto ieri tre mesi. Se poi vogliamo parlare del caldo…”
“Povero Landolfi, va bene, mi hai convinto: appena chiudiamo l’indagine ti aiuto io trovare un’altra casa.”

“Commissario, i numeri hanno parlato!” La voce di Sirica giungeva attraverso il telefono dalla profondità della notte.
“Ma chi è? Sirica, sei tu? Che ore sono? Dove stai?”
“Commissario, sto in ufficio, sono le tre meno un quarto, scusate ma non riuscivo a dormire, dovevo controllare una cosa. Commissario, io so chi è l’assassino!”
“Arrivo.”
Sirica ed il commissario trascorsero quel che restava della notte a controllare orari, tragitti, tempo di percorrenza, dilatando da una parte, accorciando dall’altra ma i dati si beffavano di loro. Sirica non si dava pace e quasi si strappava quei pochi capelli che aveva. Alle otto e trenta telefonò Marinella e l’agente per discrezione disse che andava a prendere due caffè. Dopo i teneri saluti di rito la fidanzata disse: “Ti ricordi l’anello che mi hai regalato? se ne è caduto un brillantino, ci tengo tanto! lo ho dato a tua zia che sta venendo in città per delle commissioni. Me lo potresti far rimettere così quando vieni me lo riporti? non mi trovo senza…Quando vieni?”
“Presto, se le cose stanno come penso, vengo presto!”
Un po’ in fretta il commissario salutò Marinella…La zia…
“Sirica!” urlò posando il telefono.
“Che succede, commissario?”
“Entra e chiudi la porta. E’ già arrivata l’agente Minardi? Ho un incarico per lei, ho avuto una folgorazione. Sirica, sono sicuro che ci siamo questa volta!”

(15.continua)