I delitti di San Vito

1.

– Non ha senso.
– C’è una cosa al mondo che ce l’abbia?
– A te va di filosofare.
– Sei tu, commissario, a vagare nell’iperuranio.
– Provavo a ricapitolare: il cadavere di una perpetua squarciato dalla lama di un coltello. La sagrestia di una chiesa di periferia, ai margini di una cittadina tutto sommato tranquilla.
– Nell’Ottocento ci si poteva scrivere un noir dall’effetto sicuro. Ora no, la gente cerca il sesso dappertutto. Qui c’è anche questo?
– Uhm!
– Non ci voglio credere.
– Per cortesia non ci crediamo, ispettore.
– Ma non escludiamo nulla, come scrive il Gazzettino stamattina.
– Sbrighiamoci: a luglio fa caldo in montagna.
– Soprattutto quando la famiglia è al mare: i tuoi sono già partiti per Positano?

2.

Il commissario Della Morte Barbara, anni 36, donna piacente ma sposatissima con prole, valutava quel poco che c’era da valutare davanti alla chiesetta di San Vito, a due passi da Rocca Borenga, terra di montagne, fiumi e coltelli. Al suo fianco D’Incanto Roberto, anni 42, fidato ispettore e insidioso corteggiatore per tutte ma non per lei. A terra le linee di gesso disegnavano i contorni d’una figura ingombrante, molto più di quanto non lo sia stata da viva fino a qualche ora fa: una plasticità quasi irreale, di quelle che gli agenti della Scientifica conoscono bene e che le persone meno addette ai lavori possono cogliere in particolari occasioni, come tra i cadaveri restituiti dalle ceneri di Pompei antica. Forse ci siamo spinti troppo a Sud? È la seconda volta, non succederà più.
Una lama d’una decina di centimetri (fu scritto 13 nel referto dell’esame necrospico) aveva fermato il cuore della Franzese Lorenza, anni 54, sposata da 29 e separata da 28 da un energumeno che ha il vizio di ingoiare etanolo e avvezzo a buttare le mani, quanto a chiedere soldi: l’unico beneficio al quale ambiva dalla donna che gli aveva dato un bambino vissuto l’arco di un mattino. Il matrimonio s’era dissolto, come il sogno di una vita normale, ma qual è la vita normale? L’Altieri Piero aveva passato la notte nelle celle della Mobile, a rendere conto di dov’era e cosa faceva mentre la Lorenza rendeva l’anima a Dio, nel duplice fortuito caso che l’una e l’altro esistano e abbiano una relazione tra loro.

3.

L’azione si svolge in terra friulana, terra di terremoti e di coltelli. Perché nella storia tutt’altro che vera dei delitti di San Vito è soprattutto di ferite che si parla. Quelle che ogni uomo si porta dentro e quelle che alcuni uomini finiscono per causare agli altri, sebbene il cielo li abbia destinati a curare anziché lacerare.
I coltelli sono pane quotidiano, tanto dei giallisti quanto di chi apre ferite: lo sapevano bene i dogi veneziani, che senza gli artigiani di Rocca Borenga non sarebbero stati tanto sereni. Quanto ai sismi (il lettore lezioso cassi e riscriva), quello del ’76 per antonomasia è diventato sinonimo di tenacia nel ricostruire: quasi come quello dell’80 in Campania (e tre!), sinonimo di magnamagna. Luoghi comuni? Fate voi.

Il cellulare squillò a lungo.
– Scusami, amore: stavamo in acqua.
– Com’è il tempo laggiù?
– Da favola, credimi. Ma quando scendi?
– C’è un omicidio.
– L’assassino è il maggiordomo.
– Non ce ne sono in una sagrestia.
– Ma una perpetua sì.
– È lei la vittima.
– Metti dentro il prete, è una sordida storia di sesso.
– Passami Luca.
– Mamma!
– Ehi piccolo, come stai?
– Da favola, credici. Con Alessandro ed Eos ci divertiamo da morire. Mamma, il colpevole è l’Altieri.
– Che ne sai?
– Lo dice il Gazzettino.
– Penso che tu sia l’unico ragazzetto che a 12 anni segue tiggì e giornali come un adulto.

4.

Il commissario Della Morte e don Scafandri Caio passeggiavano nel cortile della canonica di San Vito. (Un santo del Sud quassù. E quattro!).
– Dice Geremia: “Hanno perso la strada, hanno dimenticato il Signore loro Dio. Tornate a lui, figli infedeli: egli vuol guarirvi dalla vostra infedeltà”.
– Ma che colpe poteva avere la povera Lorenza, padre?
– Non parlavo di lei, commissario. Mi riferivo all’umanità in generale.
– Io cerco il movente in particolare.
– Ma se ne avete uno in gattabuia.
– Il Piero?
– L’unico sospetto.
– E perché chiudere il cerchio, lasciamo andare il compasso?
– Vedrà. Dice Geremia: “Il male che hai fatto ti punisce. Proverai con dura esperienza quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, Dio tuo, ed essergli infedele. Sconvolgerò il cielo e tutti saranno atterriti dall’orrore”.
– Questo Geremia!
– È un profeta. Non sia blasfema. Lei è contro la Chiesa?
– Non più di quanto lo sia un sacerdote indegno.

5.

– Che c’entra l’Altieri, commissario? Quello è un poverocristo, ai suoi modi e alle sue richieste la Lorenza ci si era abituata, come aveva dimenticato la morte del suo figlioletto nel terremoto del ’76.

Il giardiniere Paoli Ottavio raccontava un’altra verità. E riferiva di episodi noti e meno noti alle forze di polizia. La storia dell’incendio in canonica, per esempio, quella il commissario non la conosceva. Come pure una passeggiata ad insolito orario al castello di Rocca Borenga tra la Lorenza e padre Caio, di cui il giardiniere si dichiarava testimone oculare, almeno nella parte finale, cioè quando lui l’aveva trascinata in auto nonostante le evidenti resistenze di lei.
– Cosa poteva volere il prete dalla Lorenza?
– Non quello che pensa.
– Io non penso nulla.
– Glielo dico io: la Lorenza aveva sospetti. Me lo aveva confidato. Pace all’anima sua, se ne aveva una. Sa come sono le donne? Non si fanno mai i fatti loro. E lei indagava su una storia che le sembrava strana: don Caio, proprio nei primi giorni in cui era qui per sostituire il vecchio parroco, aveva ospitato un suo confratello.
– Embè?
– Lei s’era fissata che dietro quel fatto c’era qualcosa che non tornava.